RACCONTO DI FRANCESCO SCATTINI
12.06.16

 

Ricordi : Incontro con l'atletica
I miei ricordi con la SAG iniziano con l'arrivo in paese di Piero Andina. Per me fu l'incontro con una persona squisita e questa prima idea rimarrà incancellabile.

Fu lui a farci scoprire che al mondo c'era una disciplina magica : l'atletica.

Certo, già a scuola, avevamo fatto il salto in alto, il salto in lungo, i lanci, ma l'Andina : è così che lo chiamavamo sempre, ci fece scoprire praticamente tutte le meraviglie di questo sport che per me resta uno dei più belli.

Come l'Andina fosse arrivato a Gordola non lo ricordo esattamente. Mi pare lavorasse all'aeroporto, ma il fuoco dell'atletica lo portò ad avvicinarsi ai giovani che praticavano qualche attività fisica, come si usava dire allora.

Chi erano a Gordola questi giovani a quei tempi ? (1940-1950)

Gli esploratori, i primi giocatori di calcio, i primi che osavano calzare un paio di sci e quelli che amavano correre a piedi o in bicicletta. Fu tra questi che Andina trovò i suoi primi seguaci.

Come dimenticare le uscite ad Andermatt per le gare di sci dell'Istruzione Preparatoria (IP) ?

Lo scopo era anche quello di raggranellare qualche franchetto per poter fare altre attività. Erano slalom di quattro o cinque porte. Ogni discesa era un sussidio.

Il divertimento per noi era totale, ma per l'Andina, chissà quanti patemi d'animo.

La pista per la ginnastica era il cortile dell'Asilo. Era lì che il Piero esercitava le sue magie. Per anni, la stradicciola dietro l'Asilo conservò, sempre ben fatte, le buche dalle quali scattavamo per gli 80 metri.

Ormai quell'uomo distinto, dal fare signorile, ci aveva stregati. Lo stavamo ad ascoltare con quella sua voce, dalla cadenza tutta speciale, quando, come un prestigiatore, ci mostrava il disco, una boccia più grossa di quella che già conoscevamo, gli ostacoli, le scarpette con i chiodi.

Per me, il vero colpo di fulmine, l'ebbi quella sera che ci portò un giavellotto di legno. Restai affascinato da quel bellissimo attrezzo e ricordo ancora l'emozione quando fu il mio turno di prenderlo in mano.

Però l'Andina, lo affidò a mio fratello e fu lui che se lo portò a casa. Anche qui continuammo per tutta la sera a coccolarcelo.

Il giorno dopo eravamo già alle Roviscaglie, sul campo de calcio del nostro Gordola per provare a lanciarlo.

Tutti dicevano che era ritenuto un attrezzo molto difficile, ma, per noi, ex pastorelli e lanciatori di sassi, fu come dare fagioli di frasca alle capre.

Ci sentimmo, più che dei campioni finlandesi : l'Andina ce ne aveva parlato, degli Achille o altri guerrieri achei.

Che emozione e che gioia veder volare quella freccia di legno sempre più lontana dai nostri piedi nudi.

Poi l'Andina c'insegnò la tecnica : la rincorsa, il passo incrociato, come bisognava tenerlo fra le dita e perfino il "coup de fouet".

Così arrivarono le prime gare. Ci andammo tranquilli, senza paure : non avevamo ancora visto nessuno lanciarlo.

Ricordo mio fratello, impegnato contemporaneamente in tre o quattro gare, quando incominciò i lanci di riscaldamento. Io lo guardavo dalla tribuna del Lido. Incredibile ! Il suo giavellotto volava, armonioso e perfetto nella magica aria dello stadio, oltre le misure del campione ticinese allora in carica. Mi sembrava di sognare. Senza abbandonare lo scalino gli feci segno che era perfetto.

Ancora oggi sono innamorato di questa disciplina e quando vedo alla televisione dei lanci che sfiorano i 100 metri, provo la stessa emozione di quella prima volta. Fu una vittoria fantastica. Ne parlarono i giornali. Anche le altre società si accorsero di noi ! E che emozione, quando nel nuovo campo di calcio, dove ora sorge la falegnameria Togni, in allenamento, riuscii io stesso a lanciarlo a 47 metri. Mi ricordo pure quando a una gara, allo stadio del Lido, salii sul podio. Che fatica per mascherare il tremore alle gambe per l'emozione.

Per l'Andina andavamo bene tutti. Non scartava nessuno. Lui c'insegnava le varie discipline e noi, secondo i nostri gusti, ci buttavamo su quella che ci piaceva di più.

Cercò perfino di farci diventare campioni di corsa d'orientamento. Poi ci accorgemmo che esistevano atleti grande il doppio di noi, che lanciavano il triplo di noi, che erano vestiti meglio di noi, ma questo non minò mai il nostro entusiasmo per l'atletica e per il nostro nocchiero. Certi miei compagno riuscirono, grazie a lui e alla loro forza, a farsi notare negli stadi del Ticino e della Svizzera.

Per questo al Piero sarò sempre grato e non lo dimenticherò mai.

© saggordola.ch – credits – Ultimo aggiornamento della pagina: 10.02.2014